DAMIANO PRIVITERA
La MARIONETTA APERTA
Workshop sulla marionetta e i suoi risvolti psicologici – Pensieri sciolti
desiderare l’oggetto animato
desidera animare l’oggetto
desiderare l’oggetto costruito
desiderare costruire l’oggetto
desiderare pensare l’oggetto
desiderare l’oggetto pensante
desiderare muovere l’oggetto
desiderare essere mossi dall’oggetto
La MARIONETTA APERTA
Workshop sulla marionetta e i suoi risvolti psicologici – Pensieri sciolti
desiderare l’oggetto animato
desidera animare l’oggetto
desiderare l’oggetto costruito
desiderare costruire l’oggetto
desiderare pensare l’oggetto
desiderare l’oggetto pensante
desiderare muovere l’oggetto
desiderare essere mossi dall’oggetto
Per M.A. intendo quell’oggetto che prenda vita attraverso l’agire di un umano, che contiene dei meccanismi ma non vive delle pregiudiziali tradizionaliste del teatro di figura.
In una evoluzione che ci potrebbe portare all’automatismo più assoluto, il “robot” – quale sarebbe il confine d’altronde? – per riscoprire il simbolismo forte e metafisico dell’oggetto “vivo” bisogna forse ritornare agli archetipi.
Ma questi esistono nel contesto materico? Certamente no, e nè possono essere, di per se, simboli metafisici.
Allora bisogna risalire a quelli che sono gli archetipi propri del genere umano e trovarvi i parallelismi o le giustificazioni per le intenzioni e i sensi nascosti del teatro degli oggetti vivi.
Per far questo è utile cogliere qualsiasi spunto che dalla psicanalisi oggettiva e storica (non in modalità terapeutica) ci viene offerto; bisognerà saperlo cogliere, tipologizzarlo e decodificarne il senso.
I primi due che ritengo utile segnalare sono: il gioco del rocchetto segnalato da Freud e la questione del terzo soggetto analitico, questione che può fare luce in chiave burattinaia anche sulla funzione e il ruolo del pubblico in quanto uno componenti della triade; il personaggio/oggetto vive completamente in uno stato metafisico e simbolico e questo ci riporta all’esortazione di Jung per una riflessione sulla mancanza del concetto di “soprannaturale” nella società moderna. A questo punto è possibile per il teatro di figura esistere in questa società? Si se ne facciamo oggetto trascendentale, “magico” come lo era agli albori della sua esistenza.
Fa parte forse di un immaginario collettivo che probabilmente si sta spegnendo, quindi non è il modo conservativo oggettistico museale da salvare, ma il senso del magico e soprannaturale della marionetta, del fantoccio della vita nella materia.
A questo punto come facciamo a tradurre questa ipotesi nella concretezza di un percorso laboratoriale? Innanzitutto bisogna conoscere, e nello stesso tempo dimenticare, ogni forma e tecnica del teatro di figura; bisogna ricorrere ad una riflessione e ad un’indagine profonda di quale desiderio ci vogliamo e dobbiamo soddisfare. Se non si fa questo lavoro esplorativo come primo step, non si arriverà a soddisfare la nostra mancanza/urgenza, la mancanza dell’artista marionettista che deve entrare in una relazione simbiotica con un oggetto e trasmettere verso l’esterno la potenza del soprannaturale, del magico, del trascendentale.
Il corpo migliora se torna come era prima dei sintomi, meglio ancora se torna come quando era giovane. La psiche no. Anzi, il fatto che in un quarantenne o cinquantenne si riattivino i processi mentali di quando era ventenne costituisce proprio una delle più frequenti cause del suo squilibrio… S. Freud
Se trasferiamo questo concetto al teatro di figura dobbiamo riconsiderare la sua evoluzione nel senso meccanico (può tornare alle forme primordiali e archetipe) ed evolversi in quello psicologico di chi muove e da vita a questi oggetti.
Quindi la ricerca del contemporaneo risiede in chi da vita agli oggetti, liberandosi delle sovrastrutture tecniche tenaci e in cui il non umano, inteso come aspetto puramente meccanico, non fa più parte della contemporaneità e dove paradossalmente l’umano diventa parte dell’oggetto morto, acquisendone il senso.
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Dobbiamo perciò fare ricorso alla nostra storia, ai nostri sogni, ai nostri desideri, alle nostre proiezioni di ciò che rifiutiamo e non riconosciamo come proprie; gli aspetti più profondi e farli emergere per una costruzione concreta e il più possibile veritiera, in una stato dialogico con noi stessi, che si rimane personale, ma si condivide con il gruppo (il pubblico primordiale).
Il gruppo non deve avere una funzione giudicante né deve intervenire nel flusso di pensiero e composizione dell’idea della Propria Marionetta, ma empatizzare durante la messa in scena, mettersi nei panni degli attori e della marionetta/maschera come negli arcaici rituali di cura in cui si accettava la forza magica del personaggio fluttuante interpretato dallo sciamano.
Quindi l’essenzialità di chi agisce con e nella marionetta di transizione è quella di scoprirsi facendone parte più che farsi sostituire; accettare di esserne visibilmente parte, e non “essere” dietro ad una tenda o a capo nell’incidenza dei fili, diventa la nuova sfida del “nuovo mestiere del burattinaio”.
La narrazione, che ne linguaggio del teatro di figura non è mai stata verbale per antonomasia anche quando c’è un testo di “parola”, acquista un elemento vivo che non è da confondere con l’attorialità ma da codificare nella dimensione arcaica e magica che l’umano e in non umano possono far nascere nel loro incontro.
Il percorso deve contenere un lavoro sugli aspetti nascosti dell’inconscio, in cui la marionetta deve essere un “prodotto inconsapevole” anche nella fattura, nella tecnica; non deve cioè ricalcare pedissequamente le tecniche conosciute, ma stratificarle e, facendone opera di condensazione come in un sogno, crearne una nuova, che sia la risultante inconsapevole e non la didascalica somma di tutte.
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Vive le esperienze teatrali degli anni 70’, esperienze comuni a molti della sua generazione. In quel periodo frequenta corsi e stage di teatro ma se ne avvicina concretamente a Barcellona dove si integra in una compagnia di marionettisti con linee artistiche d’avanguardia e molto "spavalde". Uscendo da quell’esperienza con la ricchezza di una formazione da bottega teatrale e di profonda coerenza innovativa, fonda la compagnia Teatro Alegre, compagnia ospitata in tutti i più importanti festival europei.
Negli anni la sua attività registica si sviluppata portandolo a una produzione teatrale che mette in scena numerosi spettacoli caratterizzati soprattutto per la loro innovazione fuori dal contesto tradizionale e per la frequente contaminazione con la musica e il video.
Direttore artistico del Festival Internazionale Immagini dell’Interno giunto alla XXVIII edizione, in quest’ambito promuove delle sezioni che diventano interessanti per l’innovazione e la divulgazione di questo tipo di teatro.
Attualmente è impegnato come tutor accompagnatore di molte compagnie giovani e in qualità di producer per allestimenti di teatro di figura contemporaneo.
Dirige il Teatro del Lavoro e l'Accademia MAAF, organizzando laboratori e corsi con i più interessanti docenti europei.
Continua in un percorso senza fine di progetti, invenzioni, illusioni e le fondamentali disillusioni.
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